Gli strumenti forniti dalla biologia molecolare consentono di approfondire le conoscenze relative al livello di variabilità ed alla stratificazione genetica della popolazione allo studio. Negli ultimi anni è stato avviato un numero crescente di studi volti alla caratterizzazione molecolare delle principali razze canine. Le razze canine, infatti, sono state tradizionalmente classificate in base al loro ruolo nelle attività umane, in base a caratteri fenotipici e ad un insieme di informazioni di natura storico-evolutiva. Gli studi più recenti, realizzati mediante tecniche di indagine genomica, pur confermando, in generale, le relazioni filogenetiche tradizionalmente accettate, consentono, in alcuni casi, di evidenziare anche nuove inattese connessioni tra razze o gruppi di razze. In aggiunta, lo studio diretto del genoma consente di integrare le informazioni genealogiche relative alla struttura genetica presente in seno ad una popolazione. Questo permette di raggiungere elevati livelli di accuratezza nella stima dei principali parametri demo-genetici. L’adozione di strategie ottimali di selezione rappresenta, infatti, un requisito fondamentale per il recupero, la salvaguardia e la valorizzazione delle popolazioni canine e con esse, dell’insieme di valori, storico-culturali ed ecologici associati alla loro attività di utilizzazione primaria.
Interrogarsi sulle cause che determinano la perdita della Variabilità Genetica costituisce il primo passo per gestire responsabilmente il futuro di una razza.
Quando una razza si avvia verso una condizione di ridotta variabilità genetica, il Club di Razza che la gestisce ha tutto l’interesse a cercare di capire quali siano le cause di questo stato di cose, ma ha anche il dovere di gestire coscientemente la razza di cui è responsabile per cercare di invertire la rotta, se questa porta verso una direzione sbagliata, e per cercare di trovare dei rimedi finchè si è ancora in tempo. Le attuali conoscenze e la possibilità di indagare direttamente il genoma degli animali, al fine di evidenziare, sia il reale livello di variabilità genetica oggi esistente nella popolazione, sia la possibilità di monitorarne l’andamento negli anni a venire, costituiscono un mezzo potentissimo che ci fornisce la Genetica Molecolare per attuare concretamente un fattivo piano di salvaguardia della razza.
L’esigenza di salvaguardia della variabilità genetica nasce:
1) dalla necessità di conservare forme alleliche utili e di scongiurare l’eccessiva fissazione in omozigosi di varianti alleliche che determinino il manifestarsi di patologie a base genetica. Le piccole popolazioni, infatti, sono maggiormente soggette alle fluttuazioni della deriva genetica, per azione delle quali alcune forme alleliche possono essere casualmente fissate nella popolazione ed altre possono, invece andar perdute, con una complessiva riduzione della variazione genetica ed un aumentato rischio di mutational meltdown (accumulo di mutazioni deleterie, con conseguente riduzione della fitness ed ulteriore, conseguente, declino della numerosità della popolazione);
2) dalla necessità di preservare una variabilità utile nei confronti di possibili cambiamenti degli obiettivi selettivi;
3) dalla necessità di scongiurare un impoverimento di variabilità che si traduce anche in una riduzione della fertilità e della prolificità. Nelle piccole popolazioni, in aggiunta, aumenta infatti anche la probabilità che soggetti imparentati tra di loro si accoppino, originando individui consanguinei (caratterizzati da un aumento dei livelli di omozigosità e, maggiormente soggetti al fenomeno della depressione da inbreeding).
4) per motivazioni di ordine storico e culturale ed etico, in quanto la variabilità genetica non rappresenta esclusivamente un bene da difendere e da trasmettere a chi si troverà a gestirla per il futuro ma anche un bene in se e per se in quanto qualsiasi riduzione della variabilità genetica si rivela una pericolosa perdita sia per la razza canina allo studio che per l’intera specie ed infine per i responsabili della gestione genetica di una razza e per la biodiversità in generale.
Le azioni generali da intraprendere in un piano di conservazione genetica dovrebbero prevedere:
1) l’identificazione e caratterizzazione delle razze, evidenziandone peculiarità e potenzialità in termini di contributo al mantenimento della biodiversità, utilizzo attitudinale, rilevanza culturale ed ecologica;
2) il monitoraggio dei parametri demografici e la valutazione del rischio di estinzione (razze a rischio, reliquia…);
3) lo sviluppo di azioni che favoriscano, dove possibile, anche la valorizzazione economica della razza, quale strumento efficace di incentivazione alla salvaguardia (ad esempio, attraverso la valorizzazione del legame col territorio e con le tradizioni storico-culturali legate al suo allevamento che favoriscano nuovo impulso alla valorizzazione e diffusione della razza stessa);
4) l’adozione di strategie di conservazione del materiale genetico quali congelamento del seme e di ovuli;
5) lo sviluppo di azioni di sostegno per la sensibilizzazione e l’educazione alla conservazione della biodiversità, l’adozione di politiche e strumenti normativi appropriati, il coinvolgimento e la ricerca di sinergie tra tutte le parti in causa (privati, Club di razza, ENCI e mondo accademico…);
6) La caratterizzazione e la valutazione della variabilità delle indagini within-breed al fine di una corretta gestione e conservazione della variabilità genetica intra-razza.
Da ciò dovrebbe risultare chiara l’importanza che il monitoraggio e la gestione dei parametri genetici e demografici di una popolazione rivestono in un piano di conservazione genetica.
Prima dell’avvento delle moderne tecniche di indagine della genetica molecolare, molti dei parametri sopra elencati erano stimati a partire soltanto da analisi di pedigree. Oggi è auspicabile l’uso congiunto dei due approcci, considerando che l’apporto della informazione molecolare per la stima di tali parametri è tanto più significativo quanto meno ampie ed accurate sono le registrazioni genealogiche disponibili per le popolazioni in esame. Proprio a tal proposito, inoltre, l’uso di marcatori molecolari può fornire un prezioso supporto: il ricorso a genotipizzazioni individuali ed alla ricostruzione e/o alla conferma delle relazioni di parentela mediante test di paternità con marcatori STR consente, infatti, di ottenere la massima accuratezza ed affidabilità dalle informazioni di pedigree.
Le moderne tecniche di genetica possono fornire un utile strumento di indagine per l’individuazione di adeguate strategie nella corretta gestione del patrimonio genetico delle popolazioni canine. In tal senso, gli strumenti forniti dalla biologia molecolare consentono di approfondire le conoscenze relative al livello di variabilità ed alla stratificazione genetica delle popolazioni.
Negli anni recenti è stato avviato un numero crescente di studi volti alla caratterizzazione molecolare delle principali razze canine. Le razze canine, infatti, sono state tradizionalmente classificate in base al loro ruolo nelle attività umane, in base a caratteri fenotipici e ad un insieme di informazioni di natura storico-evolutiva. Lo studio diretto del genoma consente di integrare le informazioni genealogiche relative alla struttura genetica presente in seno ad una popolazione; ciò permette di raggiungere elevati livelli di accuratezza nella stima dei principali parametri demo-genetici che costituiscono gli indicatori fondamentali per la verifica di una corretta gestione delle risorse disponibili.
Lo studio del polimorfismo genetico a livello del DNA genomico mediante l’impiego di un set di marcatori microsatelliti permette di valutare il polimorfismo di una parte sufficientemente ampia e rappresentativa dell’intero genoma e di studiare la variabilità genetica fornendo la stima del livello di eterozigoti e della consanguineità.
L’inincrocio risulta dall’accoppiamento di animali parenti. Maggiore è il grado di parentela dei due genitori e maggiore sarà l’inbreeding presentato da un loro figlio. L’inincrocio è espresso da un coefficiente che può assumere qualunque valore compreso tra zero (nessuna consanguineità) ed uno (massima consanguineità teoricamente possibile con l’autoriproduzione e quindi in campo vegetale). Il coefficiente di inincrocio di un soggetto (Fx), che è uguale alla kinship dei genitori o alla metà del coefficiente di parentela additiva tra i suoi genitori, indica la percentuale media di loci omozigoti per discendenza. In altre parole, esso esprime la frazione media del patrimonio genetico che un individuo riceve, identico, sia dal padre che dalla madre in virtù del fatto che i genitori erano tra loro imparentati.
Il calcolo del coefficiente di inincrocio degli individui (Fx) è molto utile e deve essere condotto e monitorato in un allevamento, onde evitare gli effetti deleteri che sorgono in seguito ad un uso eccessivo della consanguineità.
Gli effetti deleteri della consanguineità sono noti universalmente e riassumibili brevemente in tre punti fondamentali:
1) Geni recessivi rari e indesiderati che in condizioni normali sono allo stato eterozigote e che quindi non disturbano eccessivamente, hanno una maggiore probabilità di esprimersi allo stato omozigote con la comparsa di patologie ereditarie (soprattutto scheletriche, oculari e cardiovascolari).
2) L’inbreeding riduce la variabilità genetica entro la popolazione che quindi risulta meno suscettibile al miglioramento genetico. E’ chiaro che se tutti gli individui di una popolazione sono geneticamente uguali tra loro, nessuna scelta sensata potrà essere operata con fini selettivi;
3) “Depressione da inbreeding”: si tratta di una generale diminuzione delle performance medie dei soggetti consanguinei per caratteri produttivi ma soprattutto per i caratteri riproduttivi (nati vivi, tasso di concepimento, fertilità), con evidenti ripercussioni negative sull’allevamento.
Il coefficiente di consanguineità si accumula se gli accoppiamenti tra parenti vengono ripetuti nelle generazioni.
Ad esempio, accoppiando un maschio e una femmina figli dello stesso cane e di madri diverse (mezzi fratelli di padre) il coefficiente di consanguineità dei loro figli sarà 0,125 (COI 12,5%). Se ripetiamo nuovamente un tale accoppiamento, il coefficiente di consanguineità raggiungerà il valore di 0,219 (COI 21,9%) alla seconda generazione, di 0,305 (COI 30,5%) alla terza, di 0,381 (38,1%) alla quarta, di 0,449 (COI 44,9%) alla quinta e così via. Normalmente l’allevatore cerca di evitare di accoppiare tra loro parenti di primo o secondo grado (parenti stretti), ma non dobbiamo dimenticarci del cosiddetto “Back-ground Inbreeding” ovvero della consanguineità che si accumula di generazione in generazione. Sarebbe quindi necessario monitorare almeno 4-5 generazioni antecedenti proprio per evitare di raggiungere un livello critico di consanguineità. C’è da precisare però che la consanguineità di un soggetto non si trasferisce alla progenie se questo viene accoppiato ad un soggetto non parente: se due soggetti consanguinei ma non parenti vengono accoppiati la loro progenie avrà consanguineità zero.
Su quale sia il coefficiente di consanguineità ritenuto pericoloso, ovvero oltre il quale sarebbe bene non andare, ci sono pareri contrastanti. In linea generale dobbiamo ricordarci che nessun coefficiente di consanguineità è esente dalla depressione da inbreeding, ovvero, gli effetti deleteri sono proporzionali a tale coefficiente, e valori superiori a 0,100 (COI 10%) devono essere tenuti sotto controllo. E’ bene pertanto che gli allevatori, quando decidono gli accoppiamenti in purezza per produrre la propria rimonta, controllino la parentela esistente tra il maschio e la femmina destinati all’accoppiamento per una razionale gestione dell’allevamento.
E' possibile stimare i valori di consanguineità (F) di ogni singolo soggetto e di parentela tra i soggetti per la valutazione del grado di variabilità genetica esistente, utilizzando il database completo dell’ENCI, e conseguentemente consegnare un mezzo agli allevatori per la definizione di accoppiamenti programmati volti al controllo della consanguineità. Inoltre, come applicazione dello studio dei valori di parentele, possono essere individuati i riproduttori aventi maggior peso genetico nella razza.
ALLELE si intende ogni forma vitale di DNA codificante per lo stesso gene: in altre parole, l'allele è responsabile della particolare modalità con cui si manifesta il carattere ereditario controllato da quel gene. Ad esempio, un gene che controlla il carattere "colore degli occhi" può esistere in due alleli (cioè in due forme alternative): l'allele "occhio chiaro" e l'allele "occhio scuro". Occorre precisare che con allele si può indicare anche il diverso polimorfismo che un locus non codificante può avere. Ciascun individuo definito diploide, come gran parte dei viventi, possiede per ciascun carattere, ovvero per ciascun gene, due alleli, ossia due copie; ognuno dei due alleli è presente su uno stesso locus (posizione), su ciascuno dei due cromosomi che costituiscono, nella cellula, una coppia di omologhi. Se sui cromosomi omologhi è una duplice copia dello stesso allele, si dice che l'individuo è omozigote per quel carattere; se gli alleli sono differenti, l'individuo è detto eterozigote. Ogni carattere, all'interno di una popolazione, può essere rappresentato anche da molti alleli (sebbene ogni individuo ne possa portare solo due). L'insieme degli alleli presenti in una popolazione è detto pool genico. La variabilità della frequenza con cui gli alleli compaiono nel pool è l'oggetto di studio della branca della genetica detta genetica di popolazione. Non tutti gli alleli determinano un effetto visibile nell'individuo che ne è portatore. Se il carattere da essi controllato si manifesta, si parla di alleli dominanti; in caso contrario si parla di alleli recessivi. Un individuo può essere quindi omozigote dominante, se possiede due alleli dominanti; eterozigote, se possiede due alleli differenti; omozigote recessivo, se possiede entrambi gli alleli recessivi. Un allele dominante sarà espresso sempre, anche se l'individuo è eterozigote. Un allele recessivo potrà essere espresso solo in individui omozigoti recessivi. L'insieme dei caratteri visibili in un organismo prende il nome di fenotipo, mentre l'insieme del suo corredo di geni (comprendente quindi alleli dominanti e recessivi) è detto genotipo. Per convenzione, gli alleli sono indicati da una singola lettera, maiuscola per indicare l'allele dominante (ad esempio A) e minuscola per l'allele recessivo (ad esempio a). Gli eterozigoti (Aa) e omozigoti (AA) per un determinato gene hanno un fenotipo A, poiché mostrano l'effetto dell'allele dominante, mentre gli omozigoti (aa) mostrano l'effetto dell'allele recessivo e hanno fenotipo a.
COEFFICIENTE DI KINSHIP riferito a due individui diversi, e misura la probabilità che due alleli dello stesso locus scelti a caso, uno per ciascuno dei due soggetti, siano identici per discendenza.
COEFFICIENTE DI INCROCIO (inbreeding, consanguineità) riferito al singolo individuo, e misura la probabilità che un soggetto sia omozigote per un allele identico per discendenza. Il coefficiente di inincrocio di un individuo è uguale al coefficiente di kinship dei suoi genitori.
COEFFICIENTE DI PARENTELA (relatedness) riferito a due individui diversi, e misura la probabilità che essi condividano un allele identico per discendenza sull'uno o sull'altro dei due cromosomi omologhi. Il coefficiente di parentela è il doppio del coefficiente di kinship.
CARATTERE QUANTITATIVO Carattere a Variabilità continua, che non può essere classificato in classi discrete, ad Eredità poligenica (Singoli geni aventi piccoli effetti sul carattere), Effetto genico additivo, Elevata influenza ambientale.
Presenta un continuum di variabilità fenotipica all’interno di un gruppo di individui alcuni esempi:
• Caratteri anatomici - Statura, peso, conformazione corporea
• Caratteri fisiologici - Livelli di attività metabolica, produzione di latte, carne, uova
• Malattie complesse - Diabete, ipertensione, obesità, malattie cardiovascolari 64
EREDITABILITA’ indice di trasmissibilità di un carattere quantitativo (h2 ) e descrive il contributo relativo degli effetti genici riproduttivi o additivi (VA) alla varianza fenotipica totale del carattere (VP).
ETEROZIGOSI condizione genetica di una cellula o di un organismo costituita dalla presenza di una coppia di alleli diversi per un dato gene; gli alleli occupano gli stessi loci sui cromosomi omologhi corrispondenti
INTERVALLO DI GENERAZIONE (L) è il tempo che intercorre tra la nascita di un riproduttore e quello dello stesso sesso che lo sostituisce.
Il GENE è l'unità ereditaria degli organismi viventi. I geni sono contenuti nel genoma di un organismo, che può essere composto di DNA o di RNA, e dirigono lo sviluppo fisico e comportamentale dell'organismo. La maggior parte dei geni codifica proteine, che sono le macromolecole maggiormente coinvolte nei processi biochimici e metabolici della cellula. Molti geni non codificano proteine, ma producono RNA non codificante, che può giocare un ruolo fondamentale nella biosintesi delle proteine e nell'espressione genica.
LOCUS GENICO designa la posizione di un gene o di un'altra sequenza significativa all'interno di un cromosoma.
NUMERO EFFETTIVO DEI FONDATORI (fe) ED IL NUMERO EFFETTIVO DEGLI ANTENATI (fa) Il primo rappresenta il numero dei fondatori che hanno contribuito in eguale misura e che ci aspettiamo che riproducano sempre la stessa diversità genetica. Il secondo parametro (fa) è il numero minimo di antenati, non necessariamente fondatori, che spiega la completa diversità genetica in una popolazione. Questo parametro non tiene completamente conto della perdita dei geni casuale dagli antenati alla popolazione di riferimento, ma completa l’informazione data da fe in quanto tiene in considerazione la perdita di variabilità genetica prodotta da un uso sbilanciato dei riproduttori determinata dal “collo di bottiglia”.
NUMERO EFFETTIVO DELLA POPOLAZIONE (Ne) Definisce il numero degli animali in allevamento che potrebbero incrementare la consanguineità se essi contribuissero ugualmente alle generazioni future.
OMOZIGOSI in contrapposizione all'eterozigosi, è la condizione genetica di una cellula o di un organismo costituita dalla presenza di alleli identici per un dato gene.
POLIMORFISMO indica l'esistenza in una popolazione di più di un allele per un dato locus con frequenza superiore all'1%
PARENTELA è la probabilità che 2 individui abbiano nel loro patrimonio genetico copie identiche dello stesso allele derivanti da un antenato comune.
PROGRESSO GENETICO per generazione o Incremento Genetico (∆G) o Risposta alla Selezione (R) di una popolazione per un determinato carattere quantitativo è dato da prodotto del Differenziale produttivo per l’ereditabilità
QTL (Quantitative Trait Loci) regioni cromosomiche che contengono uno o più geni in grado di influenzare la variabilità di espressione fenotipica di un carattere quantitativo in una popolazione.